A chi va l’eredità?
Con questa piccola guida ci occupiamo dell’annoso problema: a chi va l’eredità?
Analizziamo i vari casi, cioè quando c’è un testamento e quando non c’è.
Infine, valutiamo le conseguenze legali, specialmente in merito alla quota legittima.
Ci occuperemo, infatti, di cosa fare quando viene violata la legittima.
Indice
- A chi va l’eredità se c’è il testamento?
- La successione legittima.
- La successione necessaria dei legittimari: a chi va l’eredità se ci sono soggetti precisi?
- L’azione di riduzione: a chi va l’eredità nel caso di riduzione?
- A chi va l’eredità, quindi?
- A chi va l’eredità se il defunto ha ceduto immobili ad altri parenti?
A chi va l’eredità se c’è il testamento?
Una prima ipotesi è che vi sia un testamento.
In questo caso a chi va l’eredità? Alle persone indicate dal defunto, che vengono definite beneficiari.
Il testamento è un atto giuridico revocabile, recante una solenne manifestazione di ultima volontà.
Con esso una persona maggiorenne non interdetta e capace di intendere e volere, assume delle disposizioni relative alla sorte del proprio patrimonio.
Queste sono destinate e valere per il tempo in cui avrà cessato di vivere, a cominciare da quella essenziale della designazione di uno o più eredi.
Il testamento olografo
La forma più semplice di testamento è quella olografa disciplinata dall’art. 602 c.c..
Esso non necessita della presenza di un Notaio, né di testimoni.
Le volontà del testatore sono espresse liberamente, senza la necessità di seguire particolari schemi o formule.
Come si redige l’olografo?
E’ sufficiente che il testatore rediga autonomamente le disposizioni di ultima volontà scrivendole per intero, datandole e sottoscrivendole di suo pugno.
In questo modo, il defunto può, prima di morire stabilire a chi va l’eredità in modo semplice, facendolo magari anche in casa.
Il testatore può scrivere anche in stampatello (Corte di Cassazione sentenza n.31457/2018). Può scrivere su qualsiasi pezzo di carta di qualsiasi qualità, dimensione e colore o comunque su altro materiale sufficientemente durevole.
Perché il testamento sia valido è necessario che rispetti alcuni requisiti.
L’autografia della sottoscrizione
In primo luogo, l’autografia.
Il testamento deve essere interamente scritto di pugno dal testatore.
Se il testamento non è autografo, è nullo. E non varrà a stabilire a chi va l’eredità, perché suppliranno le norme di legge.
Testamento olografo a mano guidata
Il testamento per la cui redazione è intervenuto un terzo integrando la fattispecie della cd. “mano guidata” è inficiato da nullità.
Con la sentenza n. 30953/2017 la Corte di Cassazione ha chiarito che
“qualora il de cuius per redigere il testamento abbia fatto ricorso all’uso materiale di altra persona che ne abbia sostenuto o guidato la mano nel compimento di tale operazione, tale circostanza è sufficiente per escludere il requisito dell’autografia”,
indipendentemente dal fatto che la volontà del testatore sia stata rispettata o meno.
Se la grafia appare innaturale ed alterata, sarà necessaria la perizia grafologica.
La data del testamento
In secondo luogo, occorre la data: il testamento deve essere datato. Deve cioè contenere l’indicazione del giorno, del mese e dell’anno di redazione.
In caso di mancanza, il testamento è annullabile nel termine di 5 anni, ai sensi dell’art. 606 comma 2, c.c.
Con la sentenza n. 9364/2020 la Corte di Cassazione ha ribadito che
“la data può essere apposta al principio o alla fine delle disposizioni, prima o dopo la firma e non è richiesta la sua ripetizione su ciascun foglio”.
In caso di “data incompleta essa può essere integrata con altri dati o indicazioni equipollenti. Sempre che questi siano intrinseci, siano cioè contenuti nella scheda testamentaria”.
La rettifica della data da parte del giudice civile
In caso di data erroneamente apposta questa può essere rettificata dal Giudice, avvalendosi di altri elementi che si possono dedurre dalla scheda testamentaria (Corte di Cassazione sentenza n. 10613/2016).
La data è essenziale. Consente, in presenza di più testamenti, di stabilire quale sia l’ultimo, e quindi quale sia efficace.
Fornisce un riferimento se è messa in dubbio la capacità di intendere e di volere del testatore. Che ai sensi dell’art. 591 c.c., è il presupposto per l’esercizio del diritto di disporre per testamento.
La firma
Il terzo elemento per la validità del testamento è la presenza della firma di pugno del testatore.
Essa va posta al termine delle disposizioni.
Di solito, la firma si compone del nome e del cognome.
Ma è valida anche la firma con uno pseudonimo o con un vezzeggiativo, se la persona era conosciuta in quel modo.
L’importante, infatti, è che la sottoscrizione renda possibile con certezza l’identificazione della persona che ha scritto il testamento.
Testamento senza firma
La mancanza della sottoscrizione comporta la nullità del testamento.
Non conta che gli eredi possano aver dato conferma o esecuzione al testamento.
In altre parole, anche in questo caso a chi va l’eredità verrà stabilito mediante l’applicazione di gerarchie di persone indicate dalla legge.
Tale principio è stato confermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10065/2020 che ha previsto espressamente che
“l’art. 590 c.c., nel prevedere la possibilità di conferma od esecuzione di una disposizione testamentaria nulla da parte degli eredi, presuppone, per la sua operatività, l’oggettiva esistenza di una disposizione testamentaria che sia comunque frutto della volontà del de cuius”.
Il testamento pubblico
Ai sensi dell’art. 603 c.p.c., il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni.
Il testatore, in presenza dei testimoni, dichiara al notaio la sua volontà. Cioè detta a chi va l’eredità secondo il suo punto di vista e questa intenzione viene scritta a cura del notaio stesso.
Questi dà lettura del testamento al testatore in presenza dei testimoni.
Di ciascuna di tali formalità è fatta menzione nel testamento.
Contenuto del testamento pubblico
Il testamento deve indicare il luogo, la data del ricevimento e l’ora della sottoscrizione. E deve essere sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio.
Sordomuto e testamento
Se il testatore non può sottoscrivere, o può farlo solo con grave difficoltà, deve dichiararne la causa.
E il notaio deve menzionare questa dichiarazione prima della lettura dell’atto.
Inoltre, per il testamento del muto, sordo o sordomuto, si osservano le norme stabilite dalla legge notarile per gli atti pubblici di queste persone.
Soggetto incapace di leggere
Qualora il testatore sia incapace anche di leggere, devono intervenire quattro testimoni.
La prescrizione di quattro testimoni non sussiste, tuttavia, per il cieco che non sia anche muto o sordo (C. 3939/1983).
Egli è normalmente capace di apporre la propria firma, ed è nullo il testamento pubblico non sottoscritto, se il non vedente ha dichiarato, contro verità, la propria incapacità a sottoscrivere (T. Siracusa 5.3.1994).
È nullo, poi, il testamento in cui il notaio si limiti a dichiarare l’impossibilità a sottoscrivere del testatore perché cieco, mancando una concreta verifica di tale impossibilità: le disposizioni di cui agli artt. 2 e 4 L. 3 febbraio 1975, n. 18 attribuiscono infatti al non vedente la capacità di firmare tutti gli atti documentali che li riguardano (C. 8346/2014; C. 12437/1997).
Il testamento del cieco
Si prevede che il cieco, se non sa firmare, può apporre il crocesegno. E, se non può sottoscrivere neppure con il segno di croce, ne è fatta menzione nel documento con la formula “impossibilitato a sottoscrivere”; in entrambi i casi, devono intervenire due assistenti (art. 4 L. 3 febbraio 1975, n. 18).
Detta necessità è invece negata dalla più recente giurisprudenza, che ha sancito l’inapplicabilità della citata normativa (C. 15326/2001), essendo il notaio esclusivamente deputato ad indagare la volontà delle parti (T. Napoli 22.6.2000), senza che sia concepibile un’interferenza di altri soggetti (C. 12437/1997), contrariamente a quanto attestato da altra giurisprudenza (C. 10604/1994).
Ovviamente, nei casi di testamento, il testatore deve lasciare i suoi beni in conformità con la quota legittima, che va rispettata. Può stabilire a chi va l’eredità sia rispettando la legge, sia non rispettandola.
Significa che sia se fatto dal notaio, sia se fatto in casa, il testamento deve rispettare i legittimari e le quote stabilite dalla legge.
Non è detto, però, che questo accada. A chi va l’eredità, quindi?
Possibilità di impugnare il testamento
In tal caso potrà essere impugnato il testamento con una specifica azione, che serve anche per ridurre la quota disponibile e reintegrare la quota legittima, a partire dall’eliminazione di donazioni e disposizioni testamentarie lesive.
La successione legittima.
La successione legittima è così denominata, proprio perché trova il suo titolo esclusivamente nella legge: è quest’ultima che individua le distinte categorie di successibili nonché i criteri in base ai quali dovrà essere ripartito tra i coeredi il patrimonio del de cuius.
Trattasi, infatti, di una peculiare successione cui è attribuita una funzione di supplenza, rispetto a quella testamentaria, la quale ha, invece, titolo nel testamento.
L’accettazione dell’eredità
Per essere erede in questi casi ci vuole anche un’accettazione, espressa o tacita che sia, dell’eredità che si offra concretamente al parente del defunto.
Il legislatore, poi, nel configurare i rapporti fra le due successioni, prescrive che “non si fa luogo a successione legittima se non quando manchi in tutto o in parte quella testamentaria” (art. 457 c.c., comma 2).
Nel nostro ordinamento, perciò, la successione legittima è destinata ad operare soltanto in mancanza, totale o parziale, di una efficace e diversa volontà testamentaria che stabilisca già a chi va l’eredità.
Quote della successione senza testamento
Riportiamo ora le principali norme in materia di quote, per stabilire a chi va l’eredità nel caso manchi il testamento.
Ad ogni norma si accompagna una regola, riferita ad una classe di successibile, cioè soggetto destinatario dell’eredità.
Le norme sulle quote
Art. 565 c.c.
“Nella successione legittima [c.c. 457, 553, 642] l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato [c.c. 586], nell’ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo“.
Art. 566 c.c.
Al padre ed alla madre succedono i figli, in parti uguali.
Art. 567 c.c.
Ai figli sono equiparati gli adottivi.
I figli adottivi sono estranei alla successione dei parenti [c.c. 74] dell’adottante.
Successione degli ascendenti
Art. 568 c.c.
A colui che muore senza lasciare prole, né fratelli o sorelle o loro discendenti [c.c. 467, 468, 469], succedono il padre e la madre in eguali porzioni, o il genitore che sopravvive.
Art. 569 c.c.
A colui che muore senza lasciare prole, né genitori, né fratelli o sorelle o loro discendenti, succedono per una metà gli ascendenti della linea paterna e per l’altra metà gli ascendenti della linea materna.
Se però gli ascendenti non sono di eguale grado, l’eredità è devoluta al più vicino senza distinzione di linea.
I fratelli
Art. 570 c.c.
A colui che muore senza lasciare prole, né genitori, né altri ascendenti, succedono i fratelli e le sorelle in parti uguali.
I fratelli e le sorelle unilaterali conseguono però la metà della quota che conseguono i germani.
Art. 571 c.c.
Se coi genitori o con uno soltanto di essi concorrono fratelli e sorelle germani del defunto, tutti sono ammessi alla successione del medesimo per capi, purché in nessun caso la quota, in cui succedono i genitori o uno di essi, sia minore della metà [c.c. 583].
Se vi sono fratelli e sorelle unilaterali, ciascuno di essi consegue la metà della quota che consegue ciascuno dei germani o dei genitori, salva in ogni caso la quota della metà in favore di questi ultimi.
Se entrambi i genitori non possono o non vogliono venire alla successione e vi sono ulteriori ascendenti, a questi ultimi si devolve, nel modo determinato dall’articolo 569, la quota che sarebbe spettata a uno dei genitori in mancanza dell’altro.
Art. 572 c.c.
Se alcuno muore senza lasciare prole, né genitori, né altri ascendenti, né fratelli o sorelle o loro discendenti, la successione si apre a favore del parente o dei parenti prossimi, senza distinzione di linea.
La successione non ha luogo tra i parenti oltre il sesto grado.
Art. 577 c.c.
Il figlio naturale succede all’ascendente legittimo immediato del suo genitore che non può o non vuole accettare l’eredità, se l’ascendente non lascia né coniuge, né discendenti o ascendenti, né fratelli o sorelle o loro discendenti, né altri parenti legittimi entro il terzo grado.
Art. 581 c.c.
Quando con il coniuge [c.c. 78, 565] concorrono figli, il coniuge ha diritto alla metà dell’eredità, se alla successione concorre un solo figlio, e ad un terzo negli altri casi
Coniuge e fratelli
Art. 582 c.c.
Al coniuge sono devoluti i due terzi dell’eredità se egli concorre con ascendenti o con fratelli e sorelle anche se unilaterali, ovvero con gli uni e con gli altri. In quest’ultimo caso la parte residua è devoluta agli ascendenti, ai fratelli e alle sorelle, secondo le disposizioni dell’articolo 571, salvo in ogni caso agli ascendenti il diritto a un quarto dell’eredità
Art. 583 c.c.
In mancanza di figli, di ascendenti, di fratelli o sorelle, al coniuge si devolve tutta l’eredità.
Lo Stato si prende tutto
Art. 586 c.c.
In mancanza di altri successibili, l’eredità è devoluta allo Stato [Cost. 42; c.c. 565]. L’acquisto si opera di diritto senza bisogno di accettazione e non può farsi luogo a rinunzia [c.c. 459, 519].
Lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati.
In sintesi
Queste quote sono le quote che spettano a ciascun successibile, qualora non sia stato fatto testamento.
E’ ovvio che essere sono compatibili a monte con le quote legittime dei legittimari, nel senso che le inglobano e le superano.
La legge stabilisce, in sostanza, a chi va l’eredità, ma tenendo conto anche dei vincoli che il codice civile pone per quanto riguarda la quota legittima. Infatti, le quote che abbiamo indicato sono maggiori delle legittime, di cui parliamo a breve.
La successione necessaria dei legittimari: a chi va l’eredità se ci sono soggetti precisi?
Con il termine successione necessaria si intende il particolare regime normativo volto a tutelare alcune specifiche categorie di soggetti.
Essi sono qualificati come legittimari (art. 536 c.c.).
Sono il coniuge, i figli, legittimi, naturali, legittimati, adottivi, e gli ascendenti legittimi.
La tutela così disciplinata rileva, pertanto, quale limite all’autonomia negoziale del defunto, tanto che, da alcuni si parla di successione contro la volontà del testatore.
Tale aspetto appare particolarmente accentuato dall’ultimo comma dell’art. 457 c.c., che prescrive come, in ogni caso, le disposizioni testamentarie non possano pregiudicare i diritti riservati ai legittimari.
Trattasi di limite, peraltro, non circoscritto al solo aspetto testamentario, atteso che lo stesso viene ad operare, altresì, anche con riferimento alla disciplina delle donazioni in grado di eccedere rispetto alla quota disponibile, come stabilito dall’art. 555 c.c..
A chi va l’eredità, se è violata la legittima?
Lo strumento processuale atto a far valere i relativi diritti è appunto l’azione di riduzione, i cui presupposti per l’esperimento sono, in primo luogo, la esistenza di disposizioni donative ovvero testamentarie, come tali in grado di ledere il diritto alla cd. quota di riserva.
Per evitare che attraverso la disciplina delle successioni legittime vengano pregiudicati i diritti dei legittimari, l’art. 553 c.c., che serve di raccordo tra la successione legittima e la successione necessaria, stabilisce che le porzioni fissate nelle successioni legittime, ove risultino lesive dei diritti dei legittimari, si riducono proporzionalmente per integrare tali diritti.
Peraltro, dal sistema della successione necessaria emerge che il legislatore interviene nel meccanismo delle successioni legittime quando la quota spettante nella successione intestata andrebbe al di sotto della quota di riserva.
Da nessuna norma, per contro, risulta che il legislatore abbia modificato il regime della successione intestata per attribuire agli eredi legittimi (che siano anche legittimari), più di quanto viene loro riservato con la successione necessaria.
A chi va l’eredità? Le quote legittime
Art. 537 c.c.
Salvo quanto disposto dall’articolo 542, se il genitore lascia un figlio solo, a questi è riservata la metà del patrimonio.
Se i figli sono più, è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli
Art. 538 c.c.
Se chi muore non lascia figli, ma ascendenti, a favore di questi è riservato un terzo del patrimonio, salvo quanto disposto dall’articolo 544.
In caso di pluralità di ascendenti, la riserva è ripartita tra i medesimi secondo i criteri previsti dall’articolo 569.
La legittima del coniuge
Art. 540 c.c.
A favore del coniuge [c.c. 547, 792] è riservata la metà del patrimonio dell’altro coniuge, salve le disposizioni dell’articolo 542 per il caso di concorso con i figli.
Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare [c.c. 144] e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.
Coniuge e un solo figlio
Art. 542 c.c.
Se chi muore lascia, oltre al coniuge, un solo figlio, a quest’ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge.
Quando i figli, sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto. La divisione tra tutti i figli, è effettuata in parti uguali.
Art. 544 c.c.
Quando chi muore non lascia figli, ma ascendenti e il coniuge, a quest’ultimo è riservata la metà del patrimonio [c.c. 582], ed agli ascendenti un quarto.
In caso di pluralità di ascendenti, la quota di riserva ad essi attribuita ai sensi del precedente comma è ripartita tra i medesimi secondo i criteri previsti dall’articolo 569.
Art. 548 c.c.
Il coniuge cui non è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, ai sensi del secondo comma dell’articolo 151, ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato [c.c. 585].
Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto.
L’assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta.
La medesima disposizione si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi.
Bene, a differenza delle quote indicate nel paragrafo precedente, queste sono le quote stabilite per capire a chi va l’eredità qualora sussistano in vita specifici soggetti legati al defunto da legami particolari: coniuge, figli, eccetera.
L’azione di riduzione: a chi va l’eredità nel caso di riduzione?
L’azione di riduzione è un’azione personale.
Viene intentata contro il beneficiario di donazioni e/o legati o devoluzioni testamentarie compiute dal “de cuius” in eccesso rispetto alla porzione disponibile.
Essa tende non già al recupero alla massa ereditaria del cespite, bensì alla reintegra della legittima lesa sia in denaro che in natura.
Lo scopo
Con l’azione di riduzione si tende infatti ad attuare in concreto il diritto alla quota necessaria.
Questo avviene mediante l’accertamento dell’ammontare della quota disponibile, della complementare quota di riserva e della sussistenza o meno della lesione, e, se del caso, mediante la riduzione delle disposizioni nella misura necessaria a integrare la legittima.
L’azione di riduzione si propone nel caso in cui le disposizioni testamentarie o le donazioni eccedano la quota di cui il defunto poteva disporre.
E ha come scopo, anzitutto, la determinazione dell’ammontare concreto della quota di legittima, vale a dire della quota di cui il defunto poteva disporre e di stabilire come ed in quale misura le singole disposizioni testamentarie o le donazioni debbano ridursi per integrare la legittima.
Essendo stabilito dalla legge il diritto del legittimario ad una determinata quota, con l’azione di riduzione egli mira quindi a conseguire in concreto tale diritto.
Mira, cioè ad accertare, nei confronti della successione che lo riguarda, l’ammontare della quota di riserva e, quindi, della lesione che ad essa hanno apportato le disposizioni del de cuius, nonché le modalità e l’ammontare delle riduzioni di dette disposizioni lesive.
Azione di restituzione
Contestualmente, l’attuazione della reintegrazione in concreto implica la proposizione delle istanze di restituzione.
Nell’azione di riduzione quindi assumono una fisionomia a sé tanto il petitum quanto la causa petendi.
Il primo consiste nel conseguimento della quota di riserva, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibile e la riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni compiute in vita dal de cuius, la seconda è data dalla qualità di erede legittimario e dalla asserita lesione della quota di riserva (v. Cass. n. 20143/2013).
Che cosa si chiede e perché
Nell’azione di riduzione si riterrà necessario determinare proprio in concreto l’ammontare della quota di legittima.
Il tutto al fine di stabilire se il de cuius avesse a disposizione proprio quella porzione nello stabilire la misura delle singole disposizioni testamentarie e nelle donazioni.
Non è un’azione “reale”
L’azione di riduzione configura un’azione personale.
Essa è diretta a procurare al legittimario l’utile corrispondente alla quota di legittima, e non un’azione reale, perché si propone non contro chi è l’attuale titolare del bene che fu donato o legato, ma esclusivamente contro i beneficiari delle disposizioni lesive.
Il legittimario, dunque, non ha un diritto reale sui beni oggetto di tali attribuzioni; egli ha un diritto che può fare valere in giudizio nei confronti del donatario o del legatario, i quali rispondono con l’intero proprio patrimonio.
Dall’azione di riduzione si distingue l’azione di restituzione (o reintegrazione): mentre l’una è un’azione di impugnativa, l’altra è un’azione di condanna, che presuppone già pronunziata la prima.
La prescrizione dell’azione
Nella sentenza a Sezioni Unite n. 20644/2004, si individua il punto di partenza del periodo decennale di prescrizione dell’azione di riduzione, limitatamente alle lesioni testamentarie, dalla data di accettazione dell’eredità.
L’azione di riduzione ha, come causa petendi, la qualità di erede necessario e la lesione della legittima.
E come petitum ha la diminuzione quantitativa od anche la totale eliminazione delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore degli eredi o di terzi nella misura necessaria per reintegrare la quota di riserva e ciò con effetto retroattivo al momento dell’apertura della successione (Cass. civ. sez. I, 11.06.2003 n. 9424).
Che tipologia di azione in giudizio è?
Essa è, pertanto, una azione di accertamento costitutivo.
E’ diretta ad accertare la lesione di legittima e da tale accertamento consegue automaticamente l’integrazione della quota a lui riservata (Cass. civ. sez. II, 26.11.1987, n. 8780).
L’azione di riduzione viene configurata come individuale, giacché ogni legittimario può agire per la sola sua quota di legittima (Cass. civ. sez. II, 12.5.1999, n. 4698; Cass. civ., 28.11.1978, n. 5611), divisibile, in quanto ciascun legittimario può agire anche contro uno solo dei beneficiari sempre limitatamente alla quota di cui si ritiene da questo leso (Cass. civ. 17.05.1980 n. 3243) e personale.
Ciò in quanto diretta a procurare al legittimario l’utile corrispondente alla quota di legittima, e non un’azione reale, come risulta confermato dal fatto che si propone non contro chi al momento è titolare del bene, che fu legato o donato, ma esclusivamente contro gli eredi, i legatari o i donatari. (Cass. civ. sez. II, 22.3.2001, n. 4130).
A chi va l’eredità, quindi?
Arrivati a questo punto dovremmo tirare le somme sul nostro tema, a chi va l’eredità realmente?
Possiamo anzitutto dire che se c’è un testamento bisogna seguirlo alla lettera.
Qualora il testamento violi le quote legittime, bisogna valutarne l’impugnazione, magari con l’aiuto di una comodissima consulenza legale on line.
Qualora manchi il testamento, stabilire a chi va l’eredità diventa una questione di legge, vanno applicate le norme che suppliscono al fatto che il defunto non ha lasciato detto niente.
Queste norme rispettano già le quote legittime, perché sono già state studiate per essere conformi a quel sistema, che in Italia esiste ancora.
A chi va l’eredità se il defunto ha ceduto immobili ad altri parenti?
Di recente ci siamo occupati anche dei fenomeni patologici.
Che cosa succede se il defunto, durante la vita, ha donato, ceduto, intestato, simulato vendite di beni?
In tutti questi casi bisognerà ricostruire a chi va l’eredità, perché con questi atti potrebbe aver violato la legittima e quindi si porrebbe nuovamente lo stesso problema.
Con l’unica differenza, che in questi casi per abbattere l’atto bisognerebbe ricorrere ad altri strumenti come l’azione di simulazione, per far valere una intestazione fittizia tra parenti.
In immobili tra parenti: i 5 gravi problemi abbiamo discusso proprio di come queste operazioni possano alterare l’asse ereditario ed esporre il tutto ad azioni legali quali la simulazione o la revocatoria.
Articolo redatto ad Alpignano da Studio Duchemino il 25 novembre 2024