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Riforma del processo civile: vere novità o piove sul bagnato?

Viene convertito in legge, in questi giorni, il famoso D.L. n. 132 del 2014 di cui ci siamo occupati qualche tempo fa.

E’ l’occasione per qualche modifica, prima di introdurre definitivamente nel sistema il “nuovo” modello deflattivo del processo civile. Premettiamo che sono decenni che ogni Legislatore adotta soluzioni di questo tipo: cambiare il processo civile, sperando che o bene o male, dai cambiamenti fatti ad udienze e regole (quali quelle disciplinanti i termini processuali) possa scaturire più o meno in automatico un processo snello, capace di dare giustizia ai cittadini in poco tempo. Infatti, tale sarebbe l’esigenza del processo civile, un qualcosa che ci viene chiesto ormai insistentemente dalle imprese di tutto il mondo che vorrebbero investire in Italia.

Beninteso, di passi avanti se ne sono fatti già molti, dai vecchi processi che duravano vent’anni, fino a quando la parte vittoriosa non poteva soddisfare il suo diritto perchè deceduta in corso di causa; e situazioni simili, vergognose e inaccettabili. Detto questo, non si sono mai toccati più di tanto due punti chiave: organici e procedure deflattive. In realtà, le procedure deflattive (ad esempio il tentativo obbligatorio di conciliazione) non hanno mai funzionato, poiché chi si presenta davanti al Giudice ha ovviamente già tentato di accettare per sè una soluzione svantaggiosa, pur di chiudere la vertenza, ma si è trovato di fronte un muro, un po’ perchè la maggior parte delle vertenze non conciliate riguardano debiti insoluti e un po’ perchè è nota la autolesionista moda tutta italiana di “resistere” per una questione di principio, arrivando così fino ad imboccare la strada giudiziaria.

Vediamo, però, ora quali novità sembrano poter aiutare a smaltire i processi in corso, a partire dalle novità sull’arbitrato.

Anzitutto, è necessario ricordare alcuni nuovi istituti, finalizzati a smaltire l’arretrato dei processi civili. Tutto ciò si basa sul vecchio sistema di “privatizzare la giustizia”, assegnando agli avvocati, sostanzialmente, il compito di arbitri, ma potendo non solo far prevedere alle parti con clausola compromissoria che le loro liti future possono essere regolate da arbitri, quanto soprattutto individuare la possibilità di questa strada arbitrale anche in corso di causa, trasmettendo il fascicolo all’Ordine degli Avvocati per la nomina di un singolo arbitro o di un collegio a seconda del valore della causa, cioè che non superi oppure oltrepassi una certa somma (€ 100.000,00).

Gli arbitri verranno individuati nella vasta schiera di avvocati che in Italia risultano iscritti agli Albi, ma in particolare nella sottocategoria di coloro che posseggono una’anzianità di iscrizione di almeno cinque anni nell’albo dell’ordine circondariale. Il lodo che viene depositato ha valore di sentenza. E’ prevista l’adozione di un deecreto regolamentare entro novanta giorni dall’entrate in vigore della legge di conversione, proprio per attuare queste novità.

Il capo 2 del decreto legge citato, peraltro, prevede anche la vasta categoria della convenzione di negoziazione assistita dall’avvocato. Si tratta, indubbiamente, di una novità, per la quale però ci si chiede già se funzionerà o meno.

Si riporta l’art. 2 del decreto, perchè è particolarmente significativo.

Art. 2.  Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato

1.  La convenzione di negoziazione assistita da un avvocato è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo anche ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.

2.  La convenzione di negoziazione deve precisare:

a)  il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese;
b)  l’oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili.

3.  La convenzione è conclusa per un periodo di tempo determinato dalle parti, fermo restando il termine di cui al comma 2, lettera a).

4.  La convenzione di negoziazione è redatta, a pena di nullità, in forma scritta.

5.  La convenzione è conclusa con l’assistenza di un avvocato.

6.  Gli avvocati certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale.

7.  E’ dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all’atto del conferimento dell’incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita.

Notiamo subito che le parti “dovrebbero” cooperare in buona fede, anche se purtroppo la realtà dimostra che accade spesso il contrario. Nell’esperienza degli studi legali a Torino e nel resto d’Italia raramente la dialettica tra colleghi produce realmente una soluzione effettiva al problema. Molto spesso, in effetti, nel momento in cui la controparte sa per certo che il suo avversario ha le armi spuntate, sulla base dei documenti in suo possesso, non concede nulla ovvero non è disponibile a trovare alcuna forma transattiva di conciliazione, perchè spesso la logica del prendere tempo la fa da padrone. Detto questo, appare impressionante che il Legislatore fideisticamente si basi sulla “buona volontà” delle parti, quelle stesse parti che sono arrivate ai ferri corti proprio per la vicenda che le occupa.

Elemento interessante della norma, tuttavia, è quanto previsto nel comma 6, cioè il potere dell’avvocato di certificare l’autografia delle sottoscrizioni apposte sulla convenzione sotto la propria responsabilità professionale, ciò che finalmente appare un degno riconoscimento della professionalità dell’avvocatura, tanto bistrattata negli ultimi anni da assumere un ruolo quasi marginale nei percorsi di riforma legislativa della giustizia.

La forma scritta della convenzione garantisce, poi, indubbiamente la certezza del diritto.

Segue, poi, l’art. 3 con conseguenze importanti in materia di improcedibilità processuale, costringendo quindi i soggetti che vogliono promuovere il giudizio ad intraprendere la strada della convenzione di negoziazione assistita.

Art. 3.  Improcedibilità

1.  Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice quando rileva che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 2, comma 3. Allo stesso modo provvede quando la negoziazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell’invito. Il presente comma non si applica alle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori.

2.  Quando l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se l’invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il periodo di tempo di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a).

Le materie toccate sono importanti, in quanto si parla dei sinistri stradali e delle domande di pagamento inferiori ad € 50.000,00. L’improcedibilità può essere superata dal problema della mancata adesione all’invito.

I casi di esclusione sono i classici:

3.  La disposizione di cui al comma 1 non si applica:

a)  nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione;
b)  nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;
c)  nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;
d)  nei procedimenti in camera di consiglio;
e)  nell’azione civile esercitata nel processo penale.
L’art. 6 prevede lo specifico e ormai celebre caso della “Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”.
L’avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’articolo 5
Nel medesimo senso il comma 3 dell’art. 12:
3.  L’ufficiale dello stato civile riceve da ciascuna delle parti personalmente la dichiarazione che esse vogliono separarsi ovvero far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenerne lo scioglimento secondo condizioni tra di esse concordate. Allo stesso modo si procede per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. L’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale. L’atto contenente l’accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dopo il ricevimento delle dichiarazioni di cui al presente comma. L’accordo tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
Per quanto riguarda il martoriato problema delle spese legali, i Clienti solitamente vengono informati dall’avvocato che le spese dovrà pagarle la controparte, che quindi loro possono anticiparle ma verranno rimborsati. L’avvocato si tiene solitamente sul vago, proprio perchè spesso ingiustamente nessuna modifica legislativa è riuscita ad arginare il fenomeno della compensazione illegale delle spese, nel senso che spesso ci si trova “a spese compensate” nonostante la vittoria della lite. La norma introdotta con l’art. 13 sembra finalmente fornire un binario irrefutabile, nel senso di limitare in modo drastico i casi di compensazione delle spese di causa:
Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti
Circa il passaggio al rito sommario:
il giudice nell’udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, può disporre, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda a norma dell’articolo 702-ter e invita le parti ad indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria. Se richiesto, può fissare una nuova udienza e termine perentorio non superiore a quindici giorni per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali e termine perentorio di ulteriori dieci giorni per le sole indicazioni di prova contraria
Interessante l’art. 17 in materia di interessi legali:
«Se le parti non ne hanno determinato la misura, da quando ha inizio un procedimento di cognizione il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Per incrementare, poi, l’efficacia del processo esecutivo (il cosiddetto “recupero crediti”) si consente di chiedere al Presidente del Tribunale di autorizzare l’Ufficiale Giudiziario ad effettuare delle ricerche ad ampio raggio nella banche dati pubbliche, al fine di individuare beni su cui il creditore potrebbe soddisfarsi:
Su istanza del creditore procedente, il presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, verificato il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, autorizza la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. L’istanza deve contenere l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ordinaria ed il numero di fax del difensore nonché, ai fini dell’articolo 547, dell’indirizzo di posta elettronica certificata.
Fermo quanto previsto dalle disposizioni in materia di accesso ai dati e alle informazioni degli archivi automatizzati del Centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121, con l’autorizzazione di cui al primo comma il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato dispone che l’ufficiale giudiziario acceda mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, nel pubblico registro automobilistico e in quelle degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti. Terminate le operazioni l’ufficiale giudiziario redige un unico processo verbale nel quale indica tutte le banche dati interrogate e le relative risultanze.
Se l’accesso ha consentito di individuare cose che si trovano in luoghi appartenenti al debitore compresi nel territorio di competenza dell’ufficiale giudiziario, quest’ultimo accede agli stessi per provvedere d’ufficio agli adempimenti di cui agli articoli 517, 518 e 520. Se i luoghi non sono compresi nel territorio di competenza di cui al periodo precedente, copia autentica del verbale è rilasciata al creditore che, entro dieci giorni dal rilascio a pena d’inefficacia della richiesta, la presenta, unitamente all’istanza per gli adempimenti di cui agli articoli 517, 518 e 520, all’ufficiale giudiziario territorialmente competente.
L’ufficiale giudiziario, quando non rinviene una cosa individuata mediante l’accesso nelle banche dati di cui al secondo comma, intima al debitore di indicare entro quindici giorni il luogo in cui si trova, avvertendolo che l’omessa o la falsa comunicazione è punita a norma dell’articolo 388, sesto comma, del codice penale.
Se l’accesso ha consentito di individuare crediti del debitore o cose di quest’ultimo che sono nella disponibilità di terzi, l’ufficiale giudiziario notifica d’ufficio, ove possibile a norma dell’articolo 149-bis o a mezzo telefax, al debitore e al terzo il verbale, che dovrà anche contenere l’indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e del precetto, dell’indirizzo di posta elettronica certificata di cui al primo comma, del luogo in cui il creditore ha eletto domicilio o ha dichiarato di essere residente, dell’ingiunzione, dell’invito e dell’avvertimento al debitore di cui all’articolo 492, primo, secondo e terzo comma, nonché l’intimazione al terzo di non disporre delle cose o delle somme dovute, nei limiti di cui all’articolo 546. Il verbale di cui al presente comma è notificato al terzo per estratto, contenente esclusivamente i dati a quest’ultimo riferibili.
Quando l’accesso ha consentito di individuare più crediti del debitore o più cose di quest’ultimo che sono nella disponibilità di terzi l’ufficiale giudiziario sottopone ad esecuzione i beni scelti dal creditore.
Quando l’accesso ha consentito di individuare sia cose di cui al terzo comma che crediti o cose di cui al quinto comma, l’ufficiale giudiziario sottopone ad esecuzione i beni scelti dal creditore.»
Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino, l’8 novembre 2014.
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