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Pubblicità degli avvocati e compensi inferiori ai minimi: multato il CNF per condotta illecita

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L’Antitrust, dopo la consueta istruttoria, ha pesantemente multato il C.N.F., cioè l’organo di autogoverno degli avvocati. Il Consiglio Nazionale Forense, si legge nel provvedimento che ha irrogato una sanzione pari quasi ad € 1.000.000 da pagare entro 90 gg., ha ristretto la concorrenza tra avvocati in due modi:

  • vietando compensi al di sotto dei minimi tariffari (stigmatizzati come illecito disciplinare)
  • impedendo la pubblicità on line

La storia della professione forense e degli avvocati è stata connotata da vere e proprie battaglie decennali, nelle quali si giocavano ruoli contrapposti: da una parte l’Europa, con la sua concezione del mercato libero e della concorrenza di cui è espressione il TFUE. Dall’altra le professioni protette, fondate quasi cento anni fa con regole estremamente restrittive, specialmente per i professionisti giovani.

Si scontrano, quindi, due diverse concezioni della professione, da una parte vista come una professione piena di dignità e onore, dall’altra come una semplice attività di impresa eguale a tutte le altre.

Oggi sappiamo come la pensa l’Antitrust.

Nonostante molte voci contrarie, il C.N.F. aveva deciso di tenere la linea dura, privilegiando di fatto i vecchi studi legali già zeppi di clientela e impedendo uno sviluppo economico del settore. Limitando l’uso dei mezzi internet e telematici, di fatto si impediva ai nuovi avvocati di diffondere informazioni sulla propria attività.

A Torino la battaglia era serrata, in quanto l’Ordine con i suoi organi di controllo passava al setaccio persino i domini e i siti web degli avvocati per verificare se ci fossero avvocati che non rispettavano le regole strettissime in materia. Ciò era il naturale risultato della concezione tipica della professione forense, che ha contraddistinto l’avvocato finora. Il punto è che, anche economicamente parlando, si trascurano tantissimi fattori quando si analizzano questi problemi.

Estendendo a centinaia di migliaia di cittadini l’abilitazione professionale si è creato un vero ingorgo professionale, nel senso che i quasi 300.000 avvocati italiani, che probabilmente soddisferebbero l’intero fabbisogno del pianeta, hanno redditi molto bassi, proprio per effetto dell’offerta esasperatamente larga di servizi legali forniti anche da tanti altri soggetti non abilitati.

I recenti governi, poi, hanno favorito altri settori come le assicurazioni, di fatto mai realizzando l’esclusiva della consulenza legale anche stragiudiziale a vantaggio dell’avvocato, che è l’unico soggetto qualificato a prestarla.

Di fatto, quindi, moltissimi avvocati hanno deciso di abbassare i prezzi a condizione di lavorare sui grandi numeri, tuttavia la maggior parte degli avvocati tende ancora oggi, specialmente a Torino, ad alzare ancora di più il livello dei compensi, proprio per compensare la mancanza di reddito. Ciò induce a dire che né è corretto, da una parte, favorire il vecchio stato delle cose, agevolando solo gli studi legali famosi e avviati, che lavorano di solito per le società e le imprese di grandi dimensioni, né tanto meno corretto continuare ad introdurre nuovi avvocati a Torino e in tutta Italia, sul mercato del lavoro, creando un ingorgo che distrugge il reddito. Peggio ancora, ipotizzare società di capitali con studi legali come soci: situazioni che mal si conciliano con l’ordinario stato delle cose, il quale richiederebbe provvedimenti ben diversi.

Resta il fatto che sbloccare il mercato ingessato è necessario e così è stato valutato dall’autorità Antitrust: non è, né potrà mai essere illecito, vista la nuova diffida dell’autorità contro il C.N.F. per i comportamenti futuri, il fatto di prevedere compensi inferiori ai minimi tariffari ministeriali, né tanto meno promuovere la propria attività on line.

Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 14 dicembre 2017

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