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Permesso in sanatoria: teorie sul silenzio rigetto.

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Nei casi di difformità edilizie, cioè costruzioni avvenute in difformità rispetto al “licenziato” nel permesso di costruire, è possibile chiedere il permesso in sanatoria. Il permesso in sanatoria è previsto oggi dall’art. 36 del testo unico edilizia.

Prima vigeva l’art. 13 legge 47/1985, oggi sostituito dalla norma citata (art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001).

Questa norma prevede la possibilità del permesso in sanatoria con riferimento a fattispecie rispettose della disciplina sostanziale sull’utilizzo del territorio, e non solo di quella vigente al momento dell’istanza di sanatoria, ma anche di quella vigente all’epoca della loro realizzazione presupponendo (doppia conformità).

Per capirci, il permesso in sanatoria che segue ad una attività di accertamento di conformità è finalizzato a sanare quelle situazioni in cui si ha difformità edilizia per il solo fatto che l’opera, in sé corretta rispetto alle leggi edilizie, è stata realizzata senza il permesso formale.

In pratica, la situazione riguarda solo quei casi in cui l’opera è a posto, è normalmente regolare, tuttavia non esiste “il pezzo di carta”, cioè l’autorizzazione formale. Non riguarda i casi in cui l’opera è sostanzialmente difforme da quanto prestabilito dalle leggi edilizie del luogo e magari pure dalla legge vincolistica (ad es. la paesaggistica e storica).

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Per un certo periodo si era discusso anche della sanatoria giurisprudenziale, che si realizzava quando l’opera inizialmente abusiva diventava regolare per effetto di norme intervenute dopo. In questo caso ci si era chiesti se aveva senso demolire l’opera in quanto abusiva sulla base di leggi del tempo della costruzione, per poi ricostruirla identica a prima in quanto all’epoca attuale la normativa la consentirebbe.

Per evitare questa antieconomicità, se pensò di derogare alla doppia conformità, ma la giurisprudenza esclude questa ipotesi oggi, nel senso che l’opera deve comunque essere conforme ad entrambe le normative.

Alcuni si sono interrogati sul significato del silenzio della pubblica amministrazione circa la domanda già presentata.

Premesso che la norma è pacifica nell’intendere che all’inerzia dell’amministrazione che sfora i 60 gg. corrisponde il rigetto della domanda, la questione pratica può essere, invece, piuttosto grave, in quanto specialmente oggi chi si pone il problema di chiedere un Superbonus ha il problema di capire se l’opera è sanabile e lo deve fare in tempi rapidi.

La regola generale (art. 20 legge 241/1990) prevede il silenzio assenso.

Se l’amministrazione tace si considera un assenso all’istanza.

Questo non vale, però, se è la legge stesse ad associare al silenzio il rigetto, come nel nostro caso (art. 36 T.U.E.); ben per questo bisogna concludere che trascorsi 60 gg. il cittadino può fare ricorso al t.a.r. contro il silenzio rigetto, con termine per agire di 60 gg..

Ma il potere della p.a. non si esaurisce, nel senso che questi termini servono solo per consentire al cittadino di agire in giudizio, non per impedire all’amministrazione di accogliere l’istanza anche dopo, cosa che potrebbe benissimo fare con la conseguenza che se il cittadino ha iniziato la causa, cessa la materia del contendere in caso di accoglimento della p.a..

Ci sono rare sentenze opposte all’orientamento dominante, quelle che invocano comunque un provvedimento espresso. Citiamo T.A.R. Campania Salerno, Sez. II, Sent., (data ud. 31/05/2001) 13/01/2005, n. 18, secondo cui:

ritiene il Collegio che, al silenzio serbato dalla P.A. per oltre 60 gg. sull’istanza di sanatoria presentata ex art. 13 Legge n. 47 del 1985 (fattispecie oggi regolata dall’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001, ma con uguali modalità), non possa attribuirsi valore provvedimentale tipico (attesa l’assenza di motivazione), ma che esso vada equiparato all’ipotesi di silenzio-rifiuto prevista dall’art. 31 Legge n. 1150 del 1942,

con la conseguenza che, sostanziando di fatto la situazione un mero inadempimento, se da un lato non viene meno il potere dell’Amministrazione di provvedere, dall’altro l’interessato ben può – anche senza necessità di ulteriore diffida,

nel caso in oggetto però notificata ugualmente – promuovere immediatamente l’azione giurisdizionale volta alla declaratoria dell’illegittimità dell’inerzia (cfr. T.A.R. Molise 9.12.1994 n. 327; T.A.R. Lombardia, SEZIONE Milano, 30.7.1996 n. 1257; T.A.R. Sardegna 27.5.1994 n. 626).

Questo orientamento parla di illegittima omissione a provvedere sull’istanza presentata dalla ricorrente, in sostanza il silenzio dell’amministrazione sarebbe una omissione inadempiente, come se esistesse un obbligo a provvedere in modo esplicito.

Fa parte di questo orientamento anche la sentenza T.A.R. Sardegna 27.5.1994 n. 626, che afferma lo stesso principio e non a caso è citata dalla sentenza menzionata.

In sostanza, vi sono tribunali che al di là dell’orientamento dominante, secondo cui il silenzio-rigetto è un effetto automatico, impongono alla p.a. di rispondere se il privato lo richiede. Il cittadino avrebbe *sempre* il diritto ad ottenere una risposta esplicita. In questo senso ricordiamo la sentenza T.A.R. Lazio Roma, Sez. II bis, 03/01/2008, n. 8, secondo cui

Nelle ipotesi in cui la legge preveda meccanismi di silenzio significativo, il privato può sempre avanzare la pretesa cha la P.A. si pronunci espressamente in merito alla sua istanza chiarendo così le motivazioni che hanno eventualmente determinano il rigetto dell’istanza;

ciò in quanto si consente la piena tutela, anche in via giurisdizionale, delle situazioni oggettive a fondamento della richiesta del cittadino.

E’, pertanto, da ritenersi illegittimo il silenzio rigetto formatosi su una istanza di concessione in sanatoria avanzata ex art. 13, L. 28 febbraio 1985, n. 47 atteso il predetto obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi in modo adeguatamente motivato sull’istanza stessa.

Ovviamente si tratta di orientamenti opposti, ma come dicevamo in alcune ipotesi provvidenziali: ad es., qualora un cittadino richieda il Superbonus o voglia farne uso, in situazioni di abuso edilizio, avrà diritto a risposte esplicite, altrimenti rimarrà in condizioni di “blocco” indefinito, specialmente se la pratica veleggia da un ufficio all’altro rimanendo sospesa.

In questo senso riemerge anche la particolarità della diffida, che potrebbe eventualmente inviarsi sulla base di questi orientamenti minoritari.

Articolo redatto ad Alpignano da Studio Duchemino il 30 gennaio 2023

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