Negli ultimi anni si è fatto molto parlare del cosiddetto “salvataggio delle banche“, specialmente nel caso del Monte dei Paschi di Siena, istituto di credito molto antico e dalla rinomata tradizione, che a causa di una cattiva gestione si è trovato a dover richiedere allo Stato consistenti prestiti. Mentre in altri Paesi, come in Islanda, gli istituti di credito falliti sono stati direttamente nazionalizzati, nell’Europa continentale ciò non appare possibile a causa della complessità della situazione e della maggiore entità dei medesimi.
Sbarca quindi anche in Italia, a partire dal 1 gennaio 2016, ma con effetti anticipati all’anno in corso, il cosiddetto bail in, cioè un istituto finalizzato al salvataggio delle banche, introdotto nel nostro sistema tramite l’approvazione di direttive comunitarie che tendono ad uniformare il sistema normativo del risanamento bancario tra i vari membri dell’Unione Europea.
Questo meccanismo è stato utilizzato già nell’esperienza di Cipro, nella quale effettivamente si è verificato un prelievo forzoso dai conti correnti bancari. In buona sostanza si tratta di concepire il salvataggio delle banche, gestite in malo modo, ad opera non di interventi esterni, ma piuttosto di interventi interni ed endogeni, consistenti in una sorta di prelievo forzoso dai conti correnti dei clienti più facoltosi, ovvero con apporti diretti o indiretti (tramite svalutazione dei titoli) degli azionisti.
Il cuore della nuova normativa è rappresentato dalla direttiva comunitaria chiamata BRRD, cioè Bank Recovery and Resolution Directive.
Innanzitutto l’obiettivo è non fare ricadere sui cittadini e sull’intera collettività una crisi dovuta a cattiva gestione del singolo istituto di credito. Le risorse per il salvataggio della banca dovranno almeno in parte provenire dal settore privato, salve alcune limitazioni che riguardano il funzionamento stesso del sistema bancario nel complesso.
Il discorso sulle crisi bancarie affonda le radici nel passato, a causa della mancata distinzione normativa tra le banche d’affari e l’attività di raccolta del risparmio. Il salvataggio delle banche ha comportato spesso oneri pesantissimi per gli Stati nazionali, sui quali è stata riversata la crisi dei derivati e non solo. La normativa, quindi, dovrebbe servire a regolamentare questi aspetti, creando appositi organismi di risoluzione (autorità di risoluzione) delle crisi anche allo scopo di individuare procedure concrete che evitino il rischio sistemico e cioè che la crisi di un istituto di credito si propaghi a tutti gli intermediari e agli altri enti collegati.
Al proposito è bene chiarire, come annotato a margine dalla Banca d’Italia, che le autorità di risoluzione dovranno essere autorità indipendenti, che operano già a partire dal momento in cui la banca non è ancora in crisi per poter individuare determinate procedure operative applicabili al momento della crisi stessa.
Interessate saranno le banche a rischio di dissesto, anche se per l’Italia rimarrà possibile comunque adottare la procedura classica di liquidazione coatta amministrativa, cioè la procedura che si applica al posto del fallimento a determinati enti che svolgono attività di pubblica rilevanza.
Il bail in, cioè il cosiddetto salvataggio interno, comporta di fatto la riduzione del valore delle azioni o di alcuni crediti e altre forme di ricapitalizzazione, quali ad esempio la conversione di crediti in nuove azioni. Sono esclusi dagli strumenti di salvataggio interno i cosiddetti depositi protetti e garantiti fino a € 100.000.
I soggetti interessati a quest’operazione di salvataggio interno potranno essere variegati, a partire soprattutto dai titolari di profili di rischio d’investimento più alti e che appare logico sottoporre in prima battuta allo stress finanziario e poi successivamente alle altre categorie di soggetti, secondo una gerarchia a cascata.
Il cittadino si chiederà ovviamente quali siano i rischi per i propri risparmi. Sono esclusi da queste forme di prelievo forzoso i depositi fino a € 100.000, ma già quando si parla per esempio di obbligazioni bancarie questa esclusione non vige più.
E’ naturalmente vero che dal gennaio 2016 entreranno in vigore queste norme, ma già dall’anno in corso sarà possibile procedere a svalutazione azionaria per salvare la situazione di dissesto bancario, quindi i cittadini e azionisti sono già esposti fin da ora a questo rischio concreto. Alcuni sospettano che anche con riferimento alle banche greche si potrà realizzare un gigantesco bail in. L’ufficio stampa della Banca d’Italia ha fatto presente, come dicevamo sopra, che i correntisti con un deposito saranno gli ultimi ad essere colpiti, in quanto in prima battuta questo rischio ricadrà sugli azionisti, che sono realmente proprietari di una piccola quota dell’istituto di credito.
Il costituzionalista Prof. Francesco Pizzetti ha twittato in questi giorni a proposito dell’eventuale illegittimità costituzionale delle operazioni di bail in rispetto all’articolo 47 della Costituzione italiana, che incoraggia il risparmio. C’è poi chi ha equiparato questo tipo di salvataggio ad un ordinario espediente con cui si realizza il prelievo forzoso dai conti correnti. Naturalmente, a livello borsistico, questo tipo di normativa necessariamente indurrà molti risparmiatori a smettere di acquistare azioni bancarie, proprio per non rischiare in alcun modo di dover pagare di tasca propria eventuali dissesti finanziari dovuti a cattiva gestione o a difetti strutturali del sistema. Qualcuno ha anche affermato che la soglia di € 100.000 consente di proteggere i piccoli risparmiatori, mentre coloro che detengono un capitale superiore a queste cifre sono stati già adeguatamente informati da consulenti finanziari che gestiscono questo risparmio privato consistente. Tuttavia la problematica non è soltanto legata al dovere di informativa, che la stessa Banca d’Italia impone agli istituti di credito rispetto ai loro clienti, ma è una questione di principio.
E’ da tempo in atto a livello europeo una intensa attività politica volta a ricapitalizzare le banche, ad effettuare controlli da parte della Banca Centrale Europea sulle banche nazionali, a rinforzare il patrimonio delle banche prevedendo maggiori requisiti di capitale e più stringenti ponderazioni del rischio dei propri attivi. Forse le ultime elezioni europee del 2014 hanno dato l’input per la nuova direttiva sul risanamento finanziario delle banche, cioè appunto la direttiva numero 59 del 2014. L’Unione Europea ha sostanzialmente imposto agli Stati nazionali di individuare di volta in volta nuove autorità indipendenti di risoluzione delle crisi bancarie, organismi che sostanzialmente coincideranno con i ministeri dell’economia oppure con le stesse banche centrali nazionali. Gli strumenti a disposizione di questi organismi saranno molti, perché a seguito della valutazione sulla possibilità di salvataggio della banca e eventualmente sulla base di una valutazione negativa sarà possibile adottare provvedimenti anche nel senso di trasferimenti dei rami aziendali, di trasferimento degli attivi deteriorati e così anche ad operazioni di salvataggio interno basate appunto sull’addossare il peso della crisi agli azionisti. Questa autorità potranno addirittura arrivare svalutare fino a zero il valore della singola azione.
Il Governatore della Banca d’Italia Visco nella sua audizione al Senato ha dovuto rilevare come le banche saranno tenute a cambiare completamente atteggiamento d’ora in poi nei confronti dei clienti, uniformandosi a questo nuovo andamento delle cose anche a livello informativo. Noi sappiamo, peraltro, che attualmente le sofferenze bancarie ammontano a circa 330 miliardi di euro e ciò significa anche che l’approvazione definitiva di questa normativa potrebbe consentire agevolmente agli istituti di credito di procedere ad addossare tali sofferenze ai privati e agli investitori.
Il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, peraltro, ha già fatto sapere che la norma che esclude conseguenze deteriori rispetto a quelle a cui andrebbero incontro gli azionisti nel caso di liquidazione coatta amministrativa serve proprio a salvaguardarli nel caso di crisi e che quindi le cose non andrebbero a peggiorare per i cittadini azionisti. Secondo il Ministro non si tratterebbe quindi della libertà incondizionata ad effettuare prelievi fossero forzosi. Sul piede di guerra, comunque, le varie associazioni di consumatori, che non accettano questa nuova imposizione dell’Unione Europea, la quale peraltro appare abbastanza conforme allo spirito europeo della libera concorrenza e all’intenzione di evitare per quanto possibile interventi dello Stato nell’economia.
Articolo redatto a Torino il 15 luglio 2015 da Studio Duchemino