Il lavoro a progetto deve contemplare un “progetto” reale e concreto, dimostrabile ed effettivo. Altrimenti il contratto “a progetto” si considera lavoro subordinato. Lo ha stabilito, nuovamente, il Tribunale di Torino con sentenza sezione lavoro 8 febbraio 2017. Vediamo i concetti fondamentali.
Il lavoro a progetto, è l’erede delle cosiddette collaborazioni coordinate e continuative, per le quali la normativa italiana ancora rintracciabile nel Decreto cd. Biagi prevede:
“i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409 numero 3) c.p.c., devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.”
L’avvocato del lavoro a Torino ricorda, peraltro, che:
Ai sensi del successivo articolo 69,
“i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto ai sensi dell’articolo 61, comma uno, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto.
Il progetto, quindi, deve essere individuato e inoltre specifico, il che significa che deve aggiungere qualcosa all’oggetto dell’attività di impresa. In effetti, una attività che rispecchi fedelmente e in modo generico la stessa attività dell’oggetto sociale del datore di lavoro o non aggiunga assolutamente nulla di diverso e più specifico rispetto all’attività ordinaria dell’impresa datrice di lavoro non può considerarsi un progetto, nè tanto meno una attività autonoma se viene svolta con modalità solo formalmente autonome ma non dotata sicuramente di qualche finalità specifica che svincoli il lavoratore dalla subordinazione. Un progetto che non si traduca in una attività che il datore di lavoro può dimostrare avere richiesto al lavoratore oltre e al di là della semplice attività tipica svolta dall’impresa, non è un vero progetto. Di questo avviso a Torino il Tribunale, che ribadisce peraltro l’ovvio, applicando proprio la conversione ex lege del contratto.
L’espressione “si considera” lavoro subordinato viene interpretata, significativamente, come ipotesi di conversione del contratto a progetto, basata sulla legge, nello schema del lavoro subordinato. Attraverso una finzione di diritto (fictio juris) si accede ad una trasformazione del contratto formalmente a progetto in un altro schema contrattuale, mediante la sentenza. Si tenga conto, peraltro, che al datore di lavoro è dato spazio di difesa, che però non si limiti alla produzione in giudizio di un contratto a progetto formale, ma privo della sostanza del progetto.
Nel caso considerato, una promotrice di farmaci era stata finalizzata al progetto seguente, come ricorda l’avvocato del lavoro e ovviamente il Giudice nella sentenza:
“ottimizzare strategicamente determinati prodotti aziendali a seguito del loro recente lancio commerciale e valutazione della diffusione sul territorio anche attraverso indagini su farmacie in collaborazione con il responsabile di area della regione Piemonte
Questa definizione del progetto è alquanto generica, non fa altro che riportare, secondo il giudice in fase decisoria, l’oggetto tipico della promozione di prodotti ai fini dell’aumento di fatturato dell’impresa, ma nulla di più, sicché ne consegue la conversione del rapporto di lavoro in subordinato, con conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive e trasmissione della sentenza agli organi preposti per il recupero delle debenze contributive e fiscali.
L’avvocato del lavoro a Torino legge nella sentenza, quindi, che:
il suddetto progetto è solo in apparenza “funzionalmente collegato a un determinato risultato finale”, poiché nella realtà dei fatti alla ricorrente non risulta essere stato richiesto altro che la promozione dei prodotti commercializzati dalla convenuta presso i medici della area torinese, così come non risulta allegato (né tanto meno provato) che la società abbia, in effetti, condizionato la prosecuzione del rapporto ad un effettivo incremento di fatturato.
Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 31 marzo 2017