Ci ritorna ancora la Cassazione, con Cass. civ. Sez. VI – 2, Ord., (ud. 31-05-2017) 28-06-2017, n. 16260, nella quale ribadisce quando l’uso della cosa comune condominiale costituisce violazione del pari diritto degli altri condomini.
Bisogna premettere che a norma dell’art. 1102 cod. civ.:
c.c. art. 1102. Uso della cosa comune.
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.
Tradizionalmente si dice che il condomino può usare la cosa comune se non ne altera la destinazione e non impedisce agli altri di farne parimenti uso, considerato invece che non può estendere l’uso della cosa al punto da menomare definitivamente il diritto degli altri; in questi casi, si può porre il problema della interversione del possesso come comproprietario in possesso come proprietario esclusivo dell’area comune, eventualmente ai fini dell’usucapione.
Il caso analizzato dalla Corte d’Appello di Roma, poi sfociato avanti il Supremo Collegio, riguardava una condomina che aveva
sostituito una finestra con una porta finestra, in maniera da poter accedere direttamente dall’appartamento di sua proprietà esclusiva al lastrico solare condominiale, ed avesse poi realizzato sul lastrico una ringhiera ed ivi riposto attrezzatura da giardino, valesse a mutare la destinazione del bene comune ed ad escluderne il pari uso da parte degli altri condomini.
Il ragionamento della Corte contempla anche l’uso “potenziale” e non solo effettivo degli altri condomini. Infatti, non è ragionevole escludere dalla valutazione, secondo la Cassazione, la struttura dei luoghi, per cui il giudice è chiamato a valutare se gli altri condomini potrebbero, vista anche la conformazione delle aree comuni sulle quali il condomino estende la sua facoltà, farne parimenti uso.
Il ragionamento è sintetizzato nella motivazione, che richiama appunto i principi giurisprudenziali in materia:
I rapporti condominiali, invero, sono informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (Cass. Sez. 2, 14/04/2015, n. 7466; Cass. Sez. 2, 30/05/2003, n. 8808; Cass. Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499; Cass. Sez. 2, 05/12/1997, n. 12344; Cass. Sez. 2, 23/03/1995, n. 3368).
In pratica, secondo la Corte, i giudici di merito, colpendo l’uso in sè che la condomina aveva fatto, non hanno considerato altri aspetti:
i giudici del merito non hanno considerato che il più ampio uso del bene comune, da parte del singolo condomino, non configura ex se una lesione o menomazione dei diritti degli altri partecipanti, ove, ad esempio, esso trovi giustificazione nella conformazione strutturale del fabbricato (giacchè, come sosteneva la stessa appellante, trattasi di lastrico solare al quale sia possibile accedere da uno solo degli appartamenti di proprietà esclusiva: cfr. Cass. Sez. 2, 09/06/1986, n. 3822).
Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 4 luglio 2017