Che cosa succede se uno dei coniugi costruisce sul terreno comune ad entrambi, in quanto ricadente nella comunione legale dei coniugi? Che cosa succede, poi, se dopo l’acquisto di un bene in comunione legale, i coniugi mutano regime patrimoniale della famiglia, escludendo il bene predetto? A queste domande, spesso sottoposte all’avvocato immobiliarista a Torino, risponde in modo chiaro la sentenza Corte di cassazione civile, sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4676, una recente pronuncia che ha affrontato il caso di due coniugi i quali avevano acquistato un terreno in comunione e poi cambiato il regime patrimoniale in quello della separazione dei beni. Sul terreno, dopo, il marito aveva costruito tre fabbricati.
Il primo problema è stabilire che cosa succede se i coniugi in comunione legale, i quali abbiano acquistato beni immobili, cambino il regime patrimoniale in quello della separazione. Nel passaggio alla separazione dei beni, la giurisprudenza ritiene che i beni che non passano al nuovo regime in quanto non contemplati od esclusi, conservino il regime precedente.
La Corte di Cassazione afferma, infatti, che
il regime di comunione legale tra i coniugi, sussistente al momento dell’acquisto del fondo, e mantenuto (per il pregresso) nonostante la successiva separazione dei beni, fa sì che la questione della edificazione del fondo medesimo debba essere affrontata e risolta sula base delle disposizioni speciali di cui agli artt. 180 c.c. e ss. e non già di quelle disciplinanti la comunione ordinaria.
L’avvocato immobiliarista spiega di solito al cliente che la comunione legale tra coniugi è il regime ordinario, salvo di verso accordo; ed, inoltre, è un regime che non ammette estranei all’interno della comunione familiare, almeno fino a quando essa non si tramuti in comunione ordinaria non più regolata dal diritto di famiglia.
Il bene immobile che faceva parte della comunione, anche se i coniugi cambiano regime patrimoniale, continua a far parte della comunione se essi non lo fanno rientrare all’interno della separazione dei beni decisa successivamente; ed è per questo che ad esso si applica il regime previsto dagli artt. 180 e seguenti c.c..
La Corte poi giustamente spiega che questo è l’effetto: non più il consenso scritto di un coniuge comproprietario ad atti di costruzione di nuovi fabbricati, ma semplicemente il regime dell’annullamento con domanda da proporsi entro un anno da quando il coniuge viene a conoscenza che si sta procedendo a costruire sul terreno comune.
E questo perchè a norma dell’art. 184 cod. civ.:
“Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell’art. 2683″
Spetta, quindi, al coniuge dissenziente farsi parte diligente.
Rispetto a quel caso, ma la regola si applica sempre a tutti i casi analoghi, la Corte conclude:
È del tutto evidente che, nella specie, la realizzazione da parte di uno solo dei coniugi dei tre fabbricati sul fondo in comunione legale, debba essere configurato quale atto eccedente l’ordinaria amministrazione, il compimento del quale spetta congiuntamente ad entrambi i coniugi (ai sensi del secondo comma dell’art. 180 c.c.); e che l’eventuale mancanza di necessario consenso dell’altro coniuge si traduce in vizio di annullabilità dell’atto (art. 184 comma 1, c.c.), da farsi valere in giudizio entro un anno dalla data in cui questo è venuto a conoscenza dell’atto (ovvero da quando l’atto sia stato trascritto, o da quando si sia sciolta la comunione: art. 184 comma 2, c.c.).
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Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 26 aprile 2018