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Cognome materno: riflessioni sulla sentenza della Corte Costituzionale

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E’ una notizia freschissima, battuta dall’ANSA poche ore fa: il cognome materno affiancato al cognome paterno.

Questo articolo introduce qualche piccola riflessione, ma vediamo di che cosa si tratta quando si parla di cognome materno.

Partiamo anzitutto dal dato di fatto, specificando che sul cognome materno non è ancora stata depositata la sentenza/motivazione, ma abbiamo qualche spunto che troviamo nell’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale. Potete cliccare qui: comunicato dell’Ufficio Stampa sul cognome materno.

Sono state dichiarate costituzionalmente illegittime le norme che impediscono ai genitori di conferire al figlio entrambi i cognomi, anche quello materno e le norme che attribuiscono in caso di disaccordo tra i genitori, il cognome paterno come se fosse un effetto automatico.

Molti commentatori parlano di conquista di civiltà nella lotta alla parità dei generi.

Il primo aspetto nell’attribuzione facoltativa o automatica del cognome materno sta nella tutela dell’identità del figlio in tutte le situazioni in cui il figlio non si identifica col padre. In passato e finora, acquisendo il cognome paterno, il figlio era “obbligato” in qualche modo a identificarsi con quel cognome e quella storia, tuttavia non sempre questo corrispondeva alla sua volontà e non sempre rappresentava la sua identità, cioè l’essenza con cui un soggetto viene identificato. Ci sono casi famosi, come il pilota Ayrton Senna, che scelsero il cognome materno facendo comunque una scelta. Si dice che lo scelse perchè il cognome paterno Da Silva era in realtà troppo comune in Brasile e quindi voleva meglio identificarsi. Su questo bisogna riflettere, in quanto bisogna capire come mai un soggetto ritiene di doversi identificare con un cognome poco diffuso: è una reale scelta di identificazione?

Ma si tratta solo di domande, perchè il cognome materno è spesso affiancato a quello paterno.

La regola introdotta dalla Corte, abbattendo le norme in materia, è:

Pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori
nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune
accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due.
In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i
genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone
l’ordinamento giuridico.

Notiamo nel campo del cognome materno ciò che succede un po’ per tutto. Si afferma da una parte l’incapacità del Parlamento di fornire normative in tempo utile, dopodiché la Corte annulla ed elimina le norme, creando vuoti normativi e in qualche modo rendendo necessario poi un intervento legislativo. Su questo aspetto bisogna sottolineare la funzione politica della Consulta, la quale infatti, con il criterio di giudicare la costituzionalità delle leggi, in realtà legifera al posto del Parlamento. Prima si pone un obiettivo specifico, poi se questo non viene normato dal Parlamento, abroga le norme già approvate dallo Stato, creando un vuoto normativo per “costringere” la politica ad agire, e giustificando il tutto con l’affermazione che in realtà il Parlamento e la politica sono inattivi. Il problema è capire le cause dell’inattività, spesso ingiustificate, ma alle volte invece giustificate da diversi sentimenti politici, da assenza di accordi. Questo limite della democrazia, che comporta un mancato adeguamento delle normative al senso sociale, in realtà bisognerebbe accettarlo in quanto si è proprio scelto il sistema democratico. Bisogna osservare che in questi giorni l’intero mondo è sconquassato da una guerra tra coloro che vorrebbero estendere i regimi democratici e abolire le monarchie o i modelli non democratici (esportando il modello democratico con armi e violenza); chi sostiene le democrazie, però, ne sottolinea sempre solo i pregi, salvo poi dover intervenire appunto con organi diversi come la Corte costituzionale al fine di “aggirare” gli aspetti democratici dello Stato e la sua vita parlamentare.

Fatte queste premesse, si parla quindi di cognome materno come di una conquista di civiltà e vediamo come si è svolto questo dibattito.

Corte cost., Ord., (data ud. 13/01/2021) 11/02/2021, n. 18 si è già occupata del tema, l’anno scorso.

La questione era stata sollevata dal Tribunale di Bolzano.

L’ordinanza in questione, nel dispositivo, afferma:

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) solleva, disponendone la trattazione innanzi a sé, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, del codice civile, nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848;

Sulla base della normativa, la Consulta già concludeva che anche fosse attribuito il cognome materno, in caso di disaccordo tra i genitori le varie norme del sistema deponevano per il cognome paterno.

Sulla base del cognome materno, ricordiamo un’altra sentenza precedente sul cognome materno che ripercorre il problema, prima di arrivare all’odierna sentenza della Consulta sempre sul cognome materno: Corte cost., 21/12/2016, n. 286, secondo cui:

E’ costituzionalmente illegittima la norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 c.c.; art. 72, comma 1, R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile); Artt. 33 e 34, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art. 2, comma 12, L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno; in via consequenziale è altresì illegittima, ai sensi dell’art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno; è illegittima inoltre, ai sensi dell’art. 27, L. n. 87/1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 299, comma 3, c.c., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell’adozione.

Perchè si arriva al cognome materno? Perché l’Italia è inserita in un contesto internazionale, costituito normativamente parlando dall’art. 24 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con L. 25 ottobre 1977, n. 881), nonché dall’art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo (adottata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con L. 27 maggio 1991, n. 176), dall’art. 16, lett. g), della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Convention on the Elimination of all forms of Discrimination Against Women – CEDAW), adottata il 18 dicembre 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ratificata e resa esecutiva con L. 14 marzo 1985, n. 132, infine dall’art. 16, comma 1, lett. g), della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva con legge 14 marzo 1985, n. 132.

L’Italia si confronta con una cultura generale e sulla scorta dell’idea che l’attribuzione del cognome al figlio non deve rispondere ad automatismi culturali, ma avendo una funzione identificativa del figlio nel contesto sociale di appartenenza, deve avvalersi di criteri che rispondano a questa funzione, in quanto solo criteri corrispondenti alla funzione appaiono realmente razionali. A voler usare la ragione finalistica, è evidente che deve essere così, non tanto quindi per un discorso di parità di genere, altrimenti si sfocia nel leggere queste conquista solo sempre col metro culturale che si vuole combattere. Un automatismo culturale non si combatte con un nuovo automatismo culturale che preveda di default l’attribuzione del cognome materno, ma semmai il centro gravitazionale deve essere il figlio.

I commentatori notano spesso che queste sentenze collegano l’identità del figlio alla parità di genere tra marito e moglie, tuttavia questo aspetto rimane a nostro avviso piuttosto oscuro, in quanto non vengono sufficientemente spiegate le motivazioni e soprattutto le modalità con cui si passa da un concetto all’altro: in che modo, cioè, la violazione dei diritti del figlio ad essere identificato con nomi e cognomi realmente attinenti alla sua storia, si riverberi sul problema della parità di genere, in che modo cioè l’attribuzione del cognome materno al figlio al fine di tutelarne l’identificazione sociale più attinente, si debba configurare anche come tutela della donna in quanto tale. Tale aspetto del cognome materno in realtà non è logicamente collegato, in quanto il cognome materno verrebbe attribuito non certo per tutelare la donna, ma il figlio. L’idea, quindi, della scelta come tutela della donna è espressione dei medesimi meccanismi culturali che hanno portato in passato ad attribuire il cognome paterno in automatico.

Dunque, qui si annida realmente il limite di queste argomentazioni, perchè se la scelta è legittima in sè e quindi anche l’intervento della Corte costituzionale può essere giustificato alla luce del sistema normativo materiale – si veda ad es. la norma sullo pseudonimo di origine codicistica, con medesima ratio -, dall’altra la lettura politica che ne viene fatta e le infiltrazioni politiche introdotte nelle ordinanze e nelle sentenze non appaiono sufficientemente giustificate.

Articolo redatto ad Alpignano da STUDIO DUCHEMINO – staff COSTITUZIONALE – il 28 aprile 2022

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