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Attività venatoria e convinzioni etico-religiose: un delicato equilibrio

L’ordinamento italiano mette a disposizione dei proprietari di terreni uno strumento che consente di escludere l’uso del proprio terreno da parte di cacciatori per la ricerca della fauna e per il passaggio a questo scopo.

È il principio sancito dalla Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 25 novembre 2014, la quale ha deciso il ricorso n. 10289/08 (Belgiorno e altri c. Italia).

La questione all’esame della Corte riguardava la possibilità da parte di un proprietario di terreni di escludere il passaggio sui medesimi a soggetti dediti alla caccia della fauna selvatica. Gli ambiti territoriali di caccia consistevano in aree destinate alla caccia programmata in base ai piani faunistico-venatori, secondo gli articoli 10, comma 6, e 14 della legge n. 157 dell’11 febbraio 1992 (di seguito «legge 157/1992»).

Viene, così, in considerazione il problema del bilanciamento dei valori costituzionali tra il rispetto della libertà di coscienza e di manifestazione e difesa del proprio pensiero, sia esso manifestato o meno all’interno di associazioni dedite alla tutela del patrimonio faunistico e ambientale e all’ecologia e il diritto di coloro i quali esercitano la caccia secondo le regole che delimitano gli ambiti territoriali ad essa adibiti.

I vari ricorrenti avevano esposto nel ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo che i loro terreni erano attraversati dai cacciatori e segnalavano anche che, a causa di questo passaggio, sarebbero stati invasi dai proiettili e bossoli, le colture si sarebbero deteriorate e, in generale, le persone e gli animali domestici che vivono sui terreni in questione sarebbero stati in concreto pericolo proprio per l’attività venatoria.

Al di là delle specifiche questioni relative alla programmazione dell’attività faunistica sul territorio, il Governo italiano aveva sostenuto, invece, che i vari ricorrenti coinvolti nella vicenda non avevano sfruttato tutte le opportunità e gli strumenti giudiziari e di difesa amministrativa messi a disposizione dall’ordinamento e quindi non avrebbero potuto adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo senza avere esaurito le possibilità contemplate dallo Stato italiano, tra cui rientrava anche una richiesta al Presidente della Giunta regionale entro trenta giorni a decorrere dalla pubblicazione del piano faunistico-venatorio, finalizzata ad opporsi all’inclusione dei loro terreni in detto piano, come previsto dall’articolo 15, comma 3, della legge n. 157/1992.

Il Governo faceva anche presente che il provvedimento del Presidente della Giunta avrebbe potuto essere oggetto di revisione in sede di giustizia amministrativa e che tra l’altro il Tribunale Amministrativo del Veneto aveva in una circostanza accolto il ricorso dei proprietari basato su convinzioni religiose al fine di escludere l’inserimento dei terreni nel piano faunistico (n. 3966 del 2007) e così di vietare l’esercizio della caccia su un fondo.

La Corte europea dei Diritti dell’Uomo, analizzando la posizione difensiva delle parti, ha notato che il Governo aveva in effetti fornito la dimostrazione, citando un provvedimento del Tribunale Amministrativo del Veneto, che l’ordinamento italiano appresta tutela effettiva a chi voglia escludere per ragioni religiose o ideologiche il proprio terreno dall’utilizzo a fini venatori, mentre contestualmente le parti non avevano fornito la prova, opposta, di una carenza di strumenti predisposti dall’ordinamento. E per questo motivo ha rigettato i ricorsi.

Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino l’1 aprile 2015

 

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