I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Questo principio è sancito dal comma 7 dell’art. 53 D. Lgs. n. 165 del 2001.
L’Amministrazione, poi, per autorizzare l’incarico, deve valutare sostanzialmente l’eventuale sussistenza di un conflitto di interesse del dipendente.
Ora, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la qustione di costituzionalità della norma sollevata congiuntamente sia dal Tribunale di Bergamo sia dal T.A.R. Puglia, su due casi analoghi. Però, l’inammissibilità della questione consegue al fatto che i due organi hanno ritenuto, senza nemmeno motivare, di essere dotati di giurisdizione sui rispettivi casi, nonostante esista una norma che per quanto riguarda la restituzione degli importi percepiti per incarichi non autorizzati, disponga la giurisdizione della Corte dei Conti.
Il comma 7 bis dispone, infatti, che il mancato versamento del compenso percepito dal dipendente pubblico indebito per l’attività svolta senza essere autorizzato “costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.
La Consulta non entra nel merito della questione, quindi, perchè in caso di difetto di giurisdizione del giudice rimettente, non è possibile ritenere ammessa la questione di costituzionalità. Riflessioni si potrebbero poi svolgere sul rapporto tra il difetto di giurisdizione del rimettente e la non manifesta infondatezza della questione, oppure tra il difetto di giurisdizione e la manifesta infondatezza derivante dal terzo presupposto giurisprudenziale con cui si chiede, negli ultimi anni, che il giudice rimettente tenti un’interpretazione conforme alla Costituzione prima di rimandare gli atti alla Corte.
Le ordinanze interessate erano quella del Tribunale di Bergamo e del T.A.R. Puglia del 27 febbraio e del 10 luglio 2014.
In via di principio, secondo la Corte non aveva senso porsi il quesito, da parte dei tribunali rimettenti, se l’obbligo restitutorio delle retribuzioni percepite per incarichi non autorizzati del dipendente pubblico fosse ingiusto, in quanto essi stessi organi giurisdizionali aditi non avevano la giurisdizione per quei casi, dovendosi rimettere tutto presso la Corte dei Conti. In effetti, la mancata restituzione di somme percepite, visto che la normativa impone la restituzione, è certamente un danno erariale.
Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 30 maggio 2015
Analisi molto interessante. Sfortunatamente il dubbio sulla “liceità della norma” (mi si permetta il gioco di parole) permane, visto che chi ha sollevato la questione non è stato giudicato competente. Sarebbe da indagare anche in quale forma l’autorizzazione possa essere concessa. Basta la mera conoscenza del fatto da parte del superiore responsabile (quindi un accordo verbale), o è necessaria una approvazione scritta?…
Considerato che le varie normative, che si sono succedute nel tempo, lasciano intendere che si tratti sostanzialmente di un contratto (di lavoro autonomo), con definizione precisa di oggetto, compenso, tempo dell’adempimento, eccetera, e considerato anche che i contratti con la P.A. scontano la forma scritta, la soluzione più verosimile sarebbe questa. Si concorda, comunque, sul fatto che la questione non è stata affrontata nel merito.