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Locazione di immobili in cattivo stato: risarcimento del danno

Un diffuso genere di controversie che riguarda l’affitto (meglio: la locazione) di immobili concerne gli immobili fatiscenti, ovvero in cattivo stato manutentivo.

Molto spesso, infatti, sia noto o meno al conduttore fin dall’inizio del rapporto, l’inquilino si trova ad un certo punto del rapporto a vivere in un immobile in pessime condizioni, con infiltrazioni di umidità, condensa, ovvero vere e proprie infiltrazioni di acqua piovana, ovvero caratterizzato da uno stato di insalubrità pericoloso per la salute degli occupanti, specialmente se si tratta di bambini. Spesso, infatti, consegue a queste situazioni che l’inquilino si ammala, o sviluppa patologie transitorie o durature proprio a causa dello stato dei luoghi.

Va detto in linea generale che a norma dell’art. 1576 cod. civ. spettano anzitutto al locatore le riparazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria. Si parte, infatti, almeno per gli immobili urbani, dal principio generale secondo cui è il proprietario a dover mantenere l’abitazione in buono stato, al fine di garantire al conduttore che paga il canone di fruire dell’immobile in modo tranquillo e non dannoso. Il punto è che è stata riservata, invece, al conduttore, la manutenzione “piccola”. Per piccola manutenzione si deve intendere solo l’intervento di piccola entità, ad esempio l’imbiancatura delle pareti, oppure la sostituzione di piccole aree di intonaco, … .

Ora, esiste un principio giurisprudenziale consolidato, quello secondo cui non è lecito sospendere il pagamento del canone, o autoridurre il canone “a zero” per la presenza di problematiche legate all’alloggio abitato dall’inquilino. In molti casi, peraltro, anche in presenza di tali criticità, il conduttore continua ad abitare nell’immobile e a sfruttarlo, quindi secondo la giurisprudenza di merito è pacifico che non sia possibile una riduzione del canone “a piacimento” e soprattutto in via di autotutela, essendo necessario instaurare il classico giudizio ex art. 447 bis per ottenere un provvedimento che riconosca la riduzione del canone almeno per un certo periodo. Anche nelle aule del Tribunale di Torino si è posto spesso questo problema, in quanto molti conduttori sono convinti di poter eccepire l’esistenza di vizi anche a fronte del procedimento di convalida di sfratto per morosità, che però vive di vita autonoma rispetto all’eccezione, dovendosi pervenire almeno alla ordinanza provvisoria di rilascio, e alla conseguente conversione del rito per l’accertamento della fondatezza dell’eccezione proposta dall’inquilino, il quale meccanismo non tutela nell’immediato colui che si è reso responsabile della sospensione nel pagamento del canone.

Bisogna poi dire, però, che anche il diritto alla salute e il diritto a non subire, quindi, un danno biologico per effetto di comportamenti di terzi soggetti appare meritevole di tutela nell’ordinamento, al punto che una pronuncia in questo senso arriva direttamente da Cass. civ. Sez. III, 19/09/2014, n. 19744, la quale ha stabilito proprio il principio che anche in presenza di preesistenza dei vizi, il locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute derivante dall’immobile:

Il locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell’immobile locato anche in relazione a vizi preesistenti la consegna ma manifestatisi successivamente ad essa qualora gli stessi, con l’uso dell’ordinaria diligenza, potessero essere a lui noti; né rileva che tali condizioni abitative fossero note al conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione della responsabilità

La pronuncia peraltro cassa con rinvio una decisione della Corte d’Appello di Torino sul punto. Il ragionamento è semplice: nella materia della salute, visto il rango costituzionale del diritto a vivere sani, non sono possibili patti limitativi di responsabilità del locatore. Sia beninteso che in certi ambiti è consentito, per esempio, addossare interamente, in via convenzionale, al conduttore le spese di ordinaria e straordinaria manutenzione, se le parti così hanno stabilito nel contratto di locazione (Cass. 9019/2005, in materia di locazione di immobili urbani a scopo non abitativo). Se, in generale, bisogna dire che un vizio, preesistente alla stipula del contratto, assume rilevanza ai fini del risarcimento anche e soprattutto se si manifesta dopo l’ingresso dell’inquilino, tuttavia nella materia della salute non è ammissibile il patto contrario alla responsabilità del locatore.

La vicenda che è stata analizzata dal Supremo Collegio prende le mosse da un atto di citazione avanti il Tribunale di Torino formulato per una morte “sospetta” e ascritta all’ossido di carbonio di uno scaldabagno mal installato nel 1988.

In particolare, la Corte afferma che il Tribunale di Torino non si è attenuto ai noti principi in materia di rapporto tra responsabilità per vizi preesistenti e danno alla salute, principi che possono essere così riassunti, come emerge dalla stessa motivazione della sentenza:

Corte ha affermato che la responsabilità del locatore per i danni derivanti dall’esistenza dei vizi sussiste anche in relazione a vizi preesistenti la consegna ma manifestatisi successivamente ad essa nel caso in cui il locatore poteva conoscere, usando l’ordinaria diligenza, i vizi secondo la disciplina di cui all’art. 1578 c.c. (Cass. 9 luglio 2008, n. 18854 e Cass. 10 agosto 1991, n. 8729) e che il locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell’immobile locato quand’anche tali condizioni fossero note al conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione della responsabilità (Cass. 3 febbraio 1999, n. 915)

Il principio che si ricava dalla motivazione riecheggia, peraltro, un principio generale del sistema, di cui si può rinvenire traccia soprattutto nell’art. 1229 cod. civ., il quale al secondo comma prevede la nullità di patti che esonerino il debitore da responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore derivi dalla violazione del cosiddetto ordine pubblico. Naturalmente, la difesa della salute, come diritto costituzionalmente protetto, rientra pacificamente in quei principi di ordine pubblico che non possono in alcun modo essere sacrificati dall’autonomia contrattuale. Ciò spiega come, alla fine, anche se i vizi sono preesistenti alla conclusione della locazione, se essi siano tali da incidere sulla salute degli occupanti, nessun patto potrebbe in alcun modo limitare per essi la responsabilità nel risarcimento del danno da parte del locatore.

Ed in effetti lo stesso discorso è a farsi per la sicurezza dell’immobile, come correttamente stabilito da alcune corti di merito (ad es.: Trib. Salerno Sez. I, 29/09/2013):

il principio secondo cui il conduttore che abbia liberamente accettato le peculiari caratteristiche del bene locato al momento della stipula del contratto non può successivamente dolersene, può valere limitatamente ai requisiti del bene di cui le parti possono disporre e non riguardo a quelli imposti da norme inderogabili di legge come le prescrizioni attinenti la sicurezza degli edifici.

Ugualmente è stato stabilito che il recesso “per gravi motivi” può essere esercitato dal conduttore anche se l’immobile non garantisca la salute dei soggetti che lo occupano, nel senso che strutturalmente non consenta all’occupante che abbia subito un’operazione al menisco di deambulare normalmente  (Trib. Modena Sez. II, 25/01/2013).

Ancora più pregnante è quella giurisprudenza che sposta la “nullità” allo stesso contratto di locazione, se esso abbia ad oggetto un bene pericoloso, piuttosto che limitarsi alla nullità della clausola esonerativa della responsabilità (Cass. civ. Sez. III Sent., 30/10/2007, n. 22886 ). La pronuncia è decisamente interessante, in quanto afferma che:

Il contratto di locazione è nullo, per impossibilità dell’oggetto, se il bene locato presenta vizi tali da arrecare pregiudizio alla salute del conduttore o dei suoi familiari. A nulla rileva l’accettazione dei vizi del bene e l’accordo tra le parti non potendo questi derogare a norme imperative poste a protezione di un diritto fondamentale, quale è quello della salute.

Singolarmente, in questo caso specifico, piuttosto che applicare il paradigma di cui all’art. 1229 cod. civ. in materia di responsabilità, la giurisprudenza ha preferito spostare la nullità al momento di formazione del consenso contrattuale, denunciando un oggetto impossibile laddove la locazione abbia appunto ad oggetto un immobile talmente inservibile, da non poter costituire nemmeno l’oggetto del contratto tra le parti. Non si addiviene, quindi, ad un rimedio “successivo”, ma si attacca il momento genetico e originario della formazione del consenso, con la conseguenza inevitabile che dovranno mettersi in discussione anche i canoni versati, sempre con i contemperamenti del caso.

In questo modo, si stabilisce non tanto un’inversione delle regole processuali già citate, che non consentono se non in sede di merito di dedurre i vizi dell’immobile, ma un limite alla irresponsabilità del locatore, che spesso incassa il canone nonostante la situazione dell’immobile, che è ormai invivibile e/o inservibile all’uso.

Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 5 dicembre 2014

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