Il lavoratore può produrre in giudizio documenti di origine aziendale? In altre parole ci si chiede se prevale l’esigenza di segretezza della vita aziendale sul diritto di difesa sancito dalla Costituzione a favore di ciascun cittadino. La risposta è la seguente: prevale sicuramente il diritto di difesa. Il lavoratore, quindi, può certamente produrre in giudizio documenti aziendali, magari tratti da qualche database. Lo ha stabilito Cass. civ. Sez. VI – Lavoro Ordinanza, 28/11/2016, n. 24106.
Vediamo di che si tratta.
Il lavoratore di una azienda è tenuto, normalmente, a mantenere il segreto su fatti e documenti di cui viene a conoscenza nell’ambito del suo lavoro. Questo rientra, naturalmente, nell’ambito degli obblighi del lavoratore sanciti dal codice civile agli artt. 2104, 2105 e 2106, ciascuno relativo rispettivamente all’obbligo di diligenza del lavoratore, all’obbligo di fedeltà e alle sanzioni disciplinari. Il rapporto di fiducia tra l’azienda e il lavoratore è fondamentale, in quanto il datore di lavoro deve potersi fidare del suo dipendente. Questo obbligo di fedeltà è stabilito dall’art. 2105 cod. civ., che recita:
Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio
Ora, che succede però se il lavoratore ha bisogno di trarre dagli archivi o estrarre documenti aziendali per poi produrli in giudizio, al fine di difendersi in una eventuale causa di lavoro? Anche a Torino è successo spesso, si tratta di ciò che accade normalmente quando il lavoratore, sentendo deteriorarsi i rapporti con il principale, non fa altro che precostituirsi le prove che gli serviranno nel processo che ha intenzione di intraprendere contro il datore di lavoro, o nella causa in cui dovrà difendersi. L’avvocato del lavoro gli consiglierà anche sotto questo profilo, in relazione a quanto stabilito dalla giurisprudenza.
La vicenda analizzata dalla Corte di Cassazione ci aiuta a capire il principio di diritto che sta dietro la decisione di far prevalere il diritto di difesa rispetto al segreto aziendale. Il dipendente, nella vicenda, aveva sottratto documenti da un report ispettivo di Poste Italiane, per poi usarli successivamente ed era stato sanzionato a livello disciplinare con due giornate di sospensione.
Teniamo conto che la Corte d’Appello
ha ritenuto illegittima la sanzione disciplinare non solo per mancata affissione del codice disciplinare, ma anche perchè la condotta ascritta al C. non poteva considerarsi violativa del dovere di segretezza e/o riservatezza, ratio decidendi quest’ultima, non incisa, per quanto appresso si dirà, dalla seconda parte del motivo.
La Cassazione respinge il ricorso e conferma il principio di diritto a cui si attiene, che deriva dal considerare valido in tutto l’ordinamento l’istituto della scriminante dell’esercizio di un diritto. L’esercizio di un diritto, cioè il compimento di un fatto che risponde ad un diritto stabilito dalla legge, toglie lesività ad eventuali conseguenze negative a carico di altri soggetti.
Si stabilisce, infatti:
il lavoratore che produca in una controversia di lavoro copia di atti aziendali riguardanti direttamente la propria posizione lavorativa non viene meno ai doveri di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., anche ove i documenti prodotti non abbiano avuto influenza decisiva sull’esito del giudizio, operando, in ogni caso, la scriminante dell’esercizio del diritto di cui all’art. 51 c.p., che ha valenza generale nell’ordinamento, senza essere limitata al mero ambito penalistico (Cass. n. 25682 del 04/12/2014) e tenuto conto che l’applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di segretezza dell’azienda.(Cass. n. 3038 del 08/02/2011; Cass. n. 22923 del 07/12/2004; Cass. n. 12528 del 7 luglio 2004 tra le varie).
L’avvocato del lavoro ricorda, per completezza, mutuandolo dal sistema penale, l’art. 51 codice penale, il quale dispone al primo comma:
L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità.
Applicando questo principio, cioè l’esercizio di un diritto ivi compreso un diritto di difesa, la Suprema Corte ammette che il lavoratore possa in effetti precostituirsi le prove, durante il lavoro, al fine di usarle poi in giudizio, senza con questo rischiare di compiere un’azione illecita, anche perchè, si precisa, l’azienda non dovrebbe subire alcun danno particolare vista la natura confinata della produzione e il rispetto delle regole processuali a stretto rigore. Ovviamente, cade anche l’ipotesi che il lavoratore, come ricorda l’avvocato del lavoro a Torino, possa subire conseguenze in materia disciplinare. In effetti, una volta chiarito che l’esercizio del diritto di difendersi in giudizio autorizza il lavoratore a violare il segreto aziendale in modo specifico con riferimento ai documenti e a ciò che trae dall’azienda, ogni eventuale prelievo non costituirà un illecito disciplinare e comunque nemmeno sarà un comportamento rilevante a livello disciplinare la produzione in giudizio della documentazione.
Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 17 marzo 2017